Presunzioni bancarie illegittime verso i professionisti


In tema di accertamento delle imposte sui redditi nei confronti dei lavoratori autonomi, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma che estende agli stessi l’ambito operativo della presunzione prelevamenti = costi e costi = ricavi, in base alla quale le somme prelevate dal conto corrente e non giustificate costituiscono compensi non contabilizzati da recuperare a tassazione (Sentenza 6 ottobre 2014, n. 228, pubbl. in G.U. n. 42 del 8/10/2014).


La decisione pone termine ad una questione più volte sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che in precedenza aveva ritenuto le censure di incostituzionalità inammissibili o non fondate.
La norma in questione è l’art. 32, co. 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973, che in seguito alle modifiche introdotte nel 2004 dalla Legge Finanziaria 2005, stabilisce il potere del Fisco di accertare un maggior reddito da recuperare a tassazione nei confronti di lavoratori autonomi in relazione a prelevamenti o importi riscossi nell’ambito dei rapporti od operazioni bancarie e finanziarie, per le quali il contribuente non sia in grado di indicare il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili.
La presunzione appena descritta, disciplinata dalla norma nella sua originaria formulazione (limitata ai «ricavi») interessava unicamente gli imprenditori, nel 2004 (inserendo anche i «compensi») la Legge Finanziaria 2005 ne ha poi esteso l’ambito operativo ai lavoratori autonomi.
Proprio tale estensione è stata censurata in quanto lesiva dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva.
A tal proposito la Corte Costituzionale ha osservato che:
– anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata (prelevamenti = costi e costi = ricavi/compensi);
– in base alla correlazione prelevamenti = costi e costi = ricavi/compensi, in assenza di giustificazione si giunge alla presunzione che la somma prelevata sia stata utilizzata per l’acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati;
– il fondamento economico-contabile del suddetto meccanismo può ritenersi congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, che è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi;
– l’attività svolta dai lavoratori autonomi, al contrario di quella imprenditoriale, si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Marginalità che assume differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali;
– generalmente e legittimamente la categoria dei lavoratori autonomi si avvale di un sistema di contabilità semplificata che determina una fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali, con conseguente irragionevolezza della presunzione rispetto ai prelevamenti.
In conclusione, secondo la Corte Costituzionale l’estensione ai lavoratori autonomi della presunzione in materia di accertamenti bancari deve ritenersi costituzionalmente illegittima, in quanto lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.