Cedolare secca: la revoca è sanabile con la comunicazione tardiva


Una società che intende revocare la cedolare secca che aveva opzionato per contratto di locazione e che ha avvisato solo il conduttore ma non l’Agenzia delle entrate, può ricorrere all’istituto della remissione in bonis e sanare così la comunicazione tardiva se è in grado di dimostrare di aver tenuto un comportamento coerente con la nuova scelta. In sintesi, deve provare l’invio al conduttore della revoca tempestiva e la mancata corresponsione dell’imposta sostitutiva con riferimento al secondo anno di locazione (Agenzia Entrate – risposta 28 ottobre 2022 n. 530).

L’art. 3, DLgs n. 23/2011 ha introdotto nell’ordinamento tributario il regime della c.d. “cedolare secca”, che permette al locatore di assoggettare il canone annuo da locazione abitativa ad un’imposta, operata nella forma della cedolare secca, sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione; la cedolare secca sostituisce anche le imposte di registro e di bollo sulla risoluzione e sulle proroghe del contratto di locazione.


Il provvedimento di attuazione del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 7 aprile 2011, prot. n. 55394/2011, nel disciplinare le modalità di esercizio dell’opzione e di versamento della “cedolare secca”, dispone che “L’opzione vincola il locatore all’applicazione del regime della cedolare secca per l’intero periodo di durata del contratto o della proroga, ovvero per il residuo periodo di durata del contratto nel caso di opzione esercitata nelle annualità successive alla prima.


È tuttavia consentita la revoca dell’opzione per le annualità successive. In particolare, la revoca è effettuata entro il termine previsto per il pagamento dell’imposta di registro relativa all’annualità di riferimento e comporta il versamento dell’imposta dovuta, ovvero entro il trentesimo giorno successivo a quello in cui termina la precedente annualità.


Ai sensi del comma 11 del cit. art. 3, l’opzione non ha effetto se di essa il locatore non ha dato preventiva comunicazione al conduttore con lettera raccomandata, con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone a qualsiasi titolo.


Il conduttore che riceve tale comunicazione è così posto in condizione di sapere che, per il periodo di durata dell’opzione, non è tenuto al pagamento dell’imposta di registro.


Come chiarito dalla circolare n. 20/E del 4 giugno 2012, paragrafo 1, della revoca, al pari dell’opzione, è opportuno che il locatore ne dia preventiva notizia al conduttore, responsabile solidale del pagamento dell’imposta di registro, tenuto conto anche del fatto che a decorrere dall’annualità della revoca viene meno la rinuncia agli aggiornamenti del canone di locazione.


Con la circolare 47/E, del 20 dicembre 2012, inoltre, nel fornire chiarimenti rispetto ai “Rapporti tra cedolare secca e remissione in bonis”, ne è stato ammesso il ricorso per sanare la tardiva presentazione del modello RLI, “solo se il tardivo assolvimento dell’obbligo di presentazione di tale modello non sia configurabile come mero ripensamento. Ne consegue che non può essere ammesso ad usufruire dell’istituto in esame chi ha effettuato il versamento dell’imposta di registro (anche se in un’unica soluzione) prima di esercitare l’opzione per il regime della cedolare secca.


Analogamente, non è possibile beneficiare dell’istituto della remissione in bonis per l’anno in corso nei casi in cui il contribuente che corrisponda annualmente l’imposta di registro abbia già versato, nei termini previsti dall’articolo 17 del TUR, l’imposta annuale sull’ammontare del canone.


Si rammenta che l’istituto della remissione in bonis consente al contribuente di accedere a benefici fiscali o a regimi opzionali la cui applicazione risulta subordinata alla preventiva comunicazione ovvero ad altro adempimento di natura formale non tempestivamente eseguiti, laddove il contribuente:


– abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;


– effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;


– versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’art. 11, co. 1, D.Lgs. n. 471/1197.


Ciò detto, sebbene il passaggio dal regime della cedolare secca al regime ordinario non sia propriamente riconducibile a la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, lo stesso costituisce, comunque, un passaggio ad un diverso regime impositivo, subordinato ad una “preventiva comunicazione”.


Conseguentemente, per motivi di equità e trasparenza che caratterizzano i rapporti con l’Amministrazione finanziaria, è applicabile anche alla comunicazione tardiva della revoca del regime in parola l’istituto appena richiamato, ove si riscontri un comportamento coerente con la scelta comunicata in ritardo.


Pertanto, con riferimento al caso specifico, il contribuente può ricorrere all’istituto della remissione in bonis per sanare la tardiva comunicazione della revoca dell’opzione per la cedolare secca, laddove sia in grado di dimostrare di aver tenuto un comportamento coerente con detta scelta, ossia possa provare di aver tempestivamente comunicato al conduttore la propria decisione di revocare l’opzione e di non aver corrisposto l’imposta sostitutiva con riferimento al secondo anno di locazione.


Diritto al credito d’imposta per l’acquisto della “prima casa”


Il credito d’imposta per l’acquisto della “prima casa” può essere fatto valere, tra l’altro, in diminuzione dell’IRPEF dovuta in base alla prima dichiarazione successiva al nuovo acquisto ovvero alla dichiarazione da presentare nell’anno in cui è stato effettuato il riacquisto stesso (Agenzia delle entrate – Risposta 28 ottobre 2022, n. 531)


 


L’istante fa presente di aver acquistato, con il futuro coniuge, un immobile fruendo dell’agevolazione “prima casa”, nonché di aver contratto matrimonio in regime di separazione legale dei beni e successivamente di essersi separato consensualmente nell’anno successivo, con atto omologato dal Tribunale.
In esecuzione delle clausole dell’accordo di separazione, l’istante ha acquistato, la quota di proprietà del coniuge (50 per cento dell’abitazione coniugale).
Tale trasferimento è avvenuto in esenzione dall’imposta di registro. L’istante rappresenta, inoltre, che nel 2022 ha firmato l’accettazione di una proposta di vendita dell’ex casa coniugale e che, successivamente, ha acquistato un’altra abitazione, fruendo nuovamente delle agevolazioni “prima casa”, senza utilizzare il credito d’imposta di cui all’articolo 7 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, in detrazione dall’imposta dovuta per tale atto.
L’istante riferisce, in particolare, che per tale ultimo atto di acquisto, il notaio rogante non ha portato in detrazione alcun credito di imposta per l’acquisto della ” prima casa”, in quanto per l’ultimo atto di acquisto non venne pagata alcuna imposta di registro.
Premesso quanto sopra, l’istante chiede di conoscere “se l’atto in esecuzione di una clausola inserita nell’accordo di separazione, comporti la decadenza della detrazione del credito d’imposta di registro versata “.
Per il Fisco l’istante matura il diritto al credito d’imposta in esame con l’acquisto agevolato del secondo immobile, avvenuto nel 2022. In particolare, l’atto con il quale è stata acquistata la quota del 50 per cento in esecuzione degli accordi di separazione, non configura un acquisto di un nuovo immobile.
Si precisa, in ogni caso, che l’istante deve effettivamente procedere all’alienazione della ex casa coniugale entro un anno dalla stipula dell’acquisto del secondo immobile, al fine di non decadere dall’agevolazione fruita per tale acquisto (comma 4-bis della nota II-bis, all’articolo 1 della Tariffa, parte prima), circostanza che comporterebbe, altresì, il recupero del credito d’imposta eventualmente utilizzato.
Si ricorda, infine, che il credito d’imposta spetta fino a concorrenza dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposta in relazione al precedente acquisto agevolato.

Tax credit librari: c’è tempo fino al 7 novembre 2022 per la presentazione delle istanze


Per il riconoscimento del credito di imposta, riferito all’anno 2021, è possibile presentare domanda dal 15 settembre 2022 fino al nuovo termine di scadenza del 7 novembre 2022 (Ministero della Cultura – comunicato 27 ottobre 2022)

A decorrere dall’anno 2018, agli esercenti che operano nella vendita al dettaglio di libri in esercizi specializzati con codice ATECO principale 47.61 o 47.79.1 viene riconosciuto un credito di imposta. (art. 1, commi 319-321, Legge n. 205 del 27 dicembre 2017).
Al riguardo, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha firmato il Decreto interministeriale n. 215 del 24/4/2018 recante disposizioni applicative in materia di credito di imposta per gli esercenti di attività commerciali, che operano nel settore della vendita al dettaglio di libri.
Per il riconoscimento del credito di imposta, in conformità al decreto in esame, riferito all’anno 2021, è possibile presentare domanda dalle ore 12:00 del 15 settembre 2022 fino al nuovo termine di scadenza del 7 novembre 2022 alle ore 12:00, esclusivamente mediante questo portale:
https://taxcredit.librari.beniculturali.it/sportello-domande/
Per l’anno in corso nella domanda dovrà essere specificata anche la dimensione dell’impresa (micro, piccola, media, grande).
Gli utenti che hanno presentato istanza o effettuato l’accesso al portale nell’anno precedente, devono comunque effettuare una nuova registrazione a partire dalla data suindicata.


Ricavi e proventi caratteristici: chiarimenti dal FISCO


L’Agenzia delle entrate con la risposta 26 ottobre 2022, n. 527 è intervenuta sull’individuazione dei “ricavi e proventi caratteristici” ai fini della verifica dei requisiti di vitalità economica per una società che redige il bilancio conformemente ai principi contabili internazionali.

L’art. 172, co. 7, del TUIR disciplina le condizioni alle quali è consentito il riporto delle posizioni soggettive in occasione di fusioni societarie, al fine di contrastare le operazioni di commercio delle c.d. “bare fiscali”.


Come noto, la norma prevede che le perdite fiscali delle società partecipanti all’operazione, compresa l’incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione, incorporante o beneficiaria:


– per la parte del loro ammontare che non eccede quello del patrimonio netto della società che riporta le perdite, quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’art. 2501-quater c.c., senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, neutralizzando così i tentativi volti a consentire un pieno, quanto artificioso, recupero delle perdite fiscali;


– allorché dal conto economico della società le cui perdite sono oggetto di riporto, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.


La ratio delle limitazioni poste dall’art. 172, co. 7, del TUIR è di contrastare il c.d. commercio di “bare fiscali”, mediante la realizzazione di fusioni con società prive di capacità produttiva poste in essere al fine di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali di una società con gli utili imponibili dell’altra, introducendo un divieto al riporto delle stesse qualora non sussistano quelle minime condizioni di vitalità economica previste dalla disposizione normativa.


La condizione di operatività (c.d. “test di vitalità”) di cui al menzionato punto 2 ha lo scopo di verificare che le società coinvolte in operazioni di fusione siano operative, negando, in sostanza, il diritto del riporto delle posizioni soggettive se non esiste più l’attività economica cui tali posizioni soggettive si riferiscono.


In merito alle voci di conto economico che devono essere considerate per il calcolo dell’ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, la risoluzione del 10 aprile 2008 n. 143 ha chiarito che devono essere assunti tutti quei proventi che in relazione all’attività svolta dalla società in esame possano considerarsi caratteristici, prescindendo, dunque, da riferimenti puntuali alle voci di Conto Economico.


Rispetto al testo contenuto nel previgente art. 123 del “vecchio” TUIR, rimasto in vigore fino al 31 dicembre 2003, già con la riforma del sistema fiscale del 2003, al fine di raffinare la misurazione della redditività, l’art. 172 del nuovo TUIR, nel dare attuazione ai principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega per la riforma del sistema fiscale, ha eliminato i riferimenti puntuali alle voci del conto economico ed introdotto una più ampia menzione, per ciò che concerne i componenti attivi, dei “ricavi e proventi dell’attività caratteristica”. Ciò al fine di ampliare l’ambito applicativo della previgente norma per includervi espressamente quei soggetti economici allorquando classifichino i proventi dell’attività caratteristica in voci del conto economico diverse da quelle qualificabili come ricavi di cui all’art. 2425 c.c..


Pertanto, il richiamo che l’art. 172, co. 7, del TUIR fa al Conto Economico di cui all’art. 2425 del c. c. va inteso quale richiamo ad uno schema contabile, redatto secondo corretti principi contabili, che sia in grado di misurare l’operatività delle società coinvolte nell’operazione straordinaria.


In sostanza, nel costruire il test di vitalità relativo ai componenti positivi, l’art. 172 fa riferimento a tutti quei ricavi e proventi dell’attività caratteristica risultanti dallo schema contabile, che siano in grado di esprimere l’attività economica dei soggetti interessati all’operazione di fusione.


Con riferimento ai soggetti IAS adopter, che redigono i bilanci secondo i principi contabili internazionali, la redditività viene misurata anche attraverso la sezione del conto economico complessivo denominata “altre componenti di conto economico complessivo (other comprehensive income – OCI)” che è parte integrante del Conto Economico.


In merito, si ricorda, infatti, che il principio contabile IAS 1 prevede l’obbligo di redigere, tra i prospetti obbligatori che compongono il bilancio di esercizio, anche lo statement of other comprehensive income, come appendice del Conto economico.


Il codice tributo per il contrassegno dei prodotti con nicotina


Istituzione del codice tributo per il versamento, tramite il modello “F24 Accise”, delle somme dovute per la fornitura dei contrassegni di legittimazione da applicare sui singoli condizionamenti per la circolazione dei prodotti diversi dai tabacchi lavorati sottoposti ad accisa, contenenti nicotina (Agenzia delle entrate – Risoluzione 26 ottobre 2022, n. 63/E).

A decorrere dal 1° gennaio 2023, la circolazione dei prodotti diversi dai tabacchi lavorati sottoposti ad accisa, contenenti nicotina e preparati allo scopo di consentire, senza combustione e senza inalazione, l’assorbimento di tale sostanza da parte dell’organismo, anche mediante involucri funzionali al loro consumo, è legittimata mediante applicazione di appositi contrassegni di legittimazione sui singoli condizionamenti (art. 62-quater.1, comma 10, D.Lgs 26 ottobre 1995, n. 504, inserito dall’art. 3-novies, comma 2, D.L. 30 dicembre 2021, n. 228).
Con nota prot. n. 404507 del 7 settembre 2022, l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli – Direzione Accise – Tabacchi ha chiesto l’istituzione del codice tributo per il versamento, mediante il modello “F24 Accise”, delle somme dovute per la fornitura dei suddetti contrassegni.
Tanto premesso, è istituito il seguente codice tributo:
– “5481” denominato “Proventi derivanti dalla fornitura di contrassegni di legittimazione di cui all’articolo 62-quater.1, comma 10, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504”.
In sede di compilazione del modello “F24 Accise”, il suddetto codice tributo è esposto nella “Sezione Accise/Monopoli e altri versamenti non ammessi in compensazione” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, indicando:
– nel campo “ente”, la lettera “M”;
– nel campo “provincia”, nessun valore;
– nel campo “codice identificativo”, nessun valore;
– nel campo “rateazione”, nessun valore;
– nel campo “mese”, il mese cui si riferisce il pagamento, nel formato “MM”;
– nel campo “anno di riferimento”, l’anno d’imposta per cui si effettua il pagamento, nel formato “AAAA”.